domenica 9 febbraio 2014

La materia da trattare. Puntata prima.

da un celebre videoclip di benny benassi
Consuetudine antica ancorché educata è quella di informare il lettore prima che questi prenda seriamente l’impegno di dedicarci il suo prezioso tempo. Nel mio caso presentare la cosiddetta materia da trattare è un’operazione difficile e quando non si posseggono parole esaurienti di solito si parla per metafore, si usano immagini. Ecco: questo blog potrebbe definirsi come le piroette linguistiche o i funambolici salti etimologici di un italofono di media cultura, con una familiarità con i dialetti, qualche nozione di latino e greco antico, una superficiale (ma rispettosa) conoscenza di certe lingue europee…, una persona così, che cerca un’improbabile bussola didattica per orientarsi in quell’intricata, atavica, archeologica selva che è la lingua dei Magiari.
E, cercando di barcamenarsi alla meno peggio, nota, raccoglie e mette nel sacco piccole cose a volte anche sorprendenti…
Trovo doveroso dire ciò che il blog non offre, vale a dire la scienza. Tesi, argomentazioni, prove, sono tutte cose che non trovano tanto posto qui: chiunque se le aspetti, pensi bene prima di proseguire con la lettura.

Cominciamo, dunque, con questa particolare materia.
Tra le prime parole che mi sono occorse nel mio ormai pluriennale soggiorno ungherese c’è senz’altro l’espressione scritta a caratteri cubitali su un cartellone non lontano da casa mia: ÉPÍTŐ ANYAG. Attratto dai colori, o forse dagli ammiccamenti della signorina in bikini in posa con martello pneumatico, decido di svelare il mistero di quelle due parole: trovo il verbo ÉPÍT: costruire. Più avanti ÉPÍTÉSZ: architetto. Piú avanti ancora ÉPÍTÉSZET: architettura.
Quando apro un dizionario guardo sempre in giro, anche se la parola che cerco non la trovo subito o non la trovo affatto, a volte addirittura mi dimentico di quello che sto cercando, sono fatto così. Più in basso ancora c’é ÉPÜL: costruirsi.
Subito dopo ÉPÜLET: edificio.
Aspetta, aspetta, mi dico, forse ho capito: questa non è una lingua, questo è un rebus, un’equazione matematica! E sento che sto penetrando il Segreto delle Lingue Agglutinanti. Ecco svelato l’arcano: l’elemento ÉP- porta in sé il significato del costruire, -ÍT ed -ÜL sono due formanti verbali con significati rispettivamente attivo e passivo, -ÉSZ è la persona ed -ET il sostantivo. Sono un genio.
Mi gongolo nella mia raffinata intelligenza, ma poi mi viene la malsana idea di andare a cercare la voce ÉSZ. Ma no, non posso trovarla, non ci sarà: é un suffisso, il dizionario non riporta i suffissi. Infatti non li riporta: scopro che ÉSZ é anche e soprattutto un sostantivo: senno, ingegno.
Stupore.
ÉP-ÍT-ÉSZ-ET: ció che deve sapere colui che con ingegno costruisce e cioè l’architettura. Le parole ungheresi non hanno bisogno di essere definite: la definizione è la parola stessa! Che lingua è mai questa, che ti dice la verità sulle cose che esprime senza bisogno di ulteriori spiegazioni? Penso all’italiano, alla retorica dei politici, ai latinarum dei donabbondi nostrani ed alle espressioni costruite ad arte per essere equivocate… Bella sarebbe una lingua che non ti permettesse di mentire. L’italiano è una lingua bugiarda? Beh, bugiarda forse no, ma indubbiamente a volte è un pò paracula…
Ma cosa stavo cercando? Ah già, ÉPÍTŐ. Non lo trovo, ma ormai è chiaro il campo semantico, ho già capito. Poi cerco ANYAG e trovo: materia.
Quanti significati ha la parola materia? Parecchi: materia come argomento, come disciplina, come materiale, materia prima, come mondo sensibile, tutto ciò che è dotato di peso, il mondo materiale, la materia che compone ogni cosa, quella che oggi sembra meno misteriosa grazie alle ricerche del Cern sul bosone di Higgs. L’italiano e l’ungherese sembra abbiano avuto la stessa idea a riguardo: l’ungherese ANYAG è formato da ANYA (mamma) più il suffisso -G, identica struttura presenta la voce latina: a MATER segue il suffisso dei concetti complessi, un -IA che sa di collettività, la realtà composita delle cose materne, tutto ciò che potenzialmente può essere usato per generare o dare forma ad altre realtà: gli elementi, i materiai corpora, come dice Lucrezio, lo scienziato tra gli antichi poeti di casa nostra. Non me ne abbiano i liberali: quando si nasce si nasce da una mamma. Portare a compimento una gravidanza e dare alla luce è appannaggio delle sole donne. Una diffusa idea medievale che trae probabilmente origine dal Timeo di Platone vuole, in soldoni, che nel processo di riproduzione il padre sia responsabile dello spirito, mentre la madre fornisca il corpo. In un canto del Purgatorio, il xxv, Dante allude proprio a questa idea, filtrata attraverso l’aristotelismo ed il tomismo e confluente nella teoria dei due sangui, paterno e materno: l’uno, attivo, conferisce la forma all’altro, che è passivo ed è, per così dire, il materiale da costruzione che andrà poi a comporre il feto.

Passo davanti a quel cartellone pubblicitario almeno due volte al giorno. Ragazza in bikini e martello pneumatico. Ah ecco a cosa si riferisce ÉPÍTŐANYAG! Al martello pneumatico?

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