domenica 16 febbraio 2014

Un genitore riflessivo. Puntata seconda.

La voce italiana genitore mi ha sempre dato l’idea di una funzione morale, una carica ufficiale, un compito conseguente e necessario piuttosto che un ruolo naturale. Forse sono molto condizionato dalla ricorrenza della formula „firma di un genitore o di chi ne fa le veci” di scolastica memoria, però indubbiamente si tratta di una parola un pò grave, solennemente latina: la sua formazione è simile a quella di tanti mestieri o incarichi, come dottore (colui che ha la funzione di rendere dotti, di docere), attore (chi mette in atto, chi agisce) e tantissimi altri esempi che formano sulla base di un supino con l’aggiunta del suffisso efficiente -OREM/-RICEM.

LEG(leggere) - T(segno del supino) - OREM(efficiente), cioè lettore, ovvero colui che rende letto.

Il genitore è chi ci rende nati. La sua radice -GEN- percorre spazi e tempi, in greco antico -γεν-/-γον- è padre di genesi, genoma, Eugenio, gonadi, teogonia, …, il latino genere, genitale, … l’italiano gente, gentile, genuino, ingenuo … l’inglese kin, kind, king, sono solo alcuni dei molti esempi.
Il termine ungherese è più immediato di quello italiano: SZÜLŐ, che alla lettera suonerebbe più come generante. Il verbo SZÜL significa generare, far nascere ed è accompagnato dal suffisso -Ő/-Ó che è assimilabile al nostro -ANTE/-ENTE del participio presente.
In ungherese, a differenza dell’italiano, la nascita ha il punto di vista dei genitori, infatti è più facile dire „metto al mondo” (SZÜL-ÖK) che „nasco” (SZÜL-ET-EK). Chi dei due ha ragione? Chi è il protagonista della nascita, neonato o genitore? Impossibile dirlo, tuttavia una cosa è certa: riusciremmo a raccontare nel dettaglio l’arrivo dei nostri figli, ma la nostra nascita solo per sentito dire… L’espressione io nasco è evidentemente fuori dalla logica, è solo una parola vuota contenuta nelle tabelle di grammatica, una voce verbale che non trova nessun uso nella realtà, perché nessuno è in grado di parlare nel momento della propria venuta al mondo! Semmai io sono nato, SZÜL-ET-T-EM, o nasce (SZÜL-ET-IK) acquisiscono una dimensione reale.
Dire io metto al mondo, partorisco, io dò alla luce, ungh. szülök, sono frasi possibili, ben inseribili in una vera situazione.
Cerchiamo di capire meglio la differenza tra nascita, születés, cioè l’azione vista dalla prospettiva del bambino, e quella vista con gli occhi della mamma, che è szülés, ovvero il parto.
Beh, non sarà il caso di spiegare la differenza tecnica che è lampante, qui cerchiamo di giocare non con i significati, bensì con i significanti della lingua, una lingua che, come ho detto altrove, sembra spesso una sorta di espressione matematica. Anzi, meglio definirla espressione algebrica, visto che non usiamo molto i numeri, ma piuttosto le lettere! Perciò ricaviamo davvero la differenza morfologica di queste due parole:

SZÜL - ET - ÉS           -
SZÜL -       - ÉS           =
______________
            ET

Ecco: la differenza è tutta in quell’-ET-. Si tratta di un formante verbale che sposta la direzione dell’azione. Ad esempio, da KÜLD che significa mandare, formiamo KÜLD-ET che significa far mandare. Sue varianti sono -TET- (vedi BÜN-TET, punire, multare, dove -BÜN- sta per colpa e perciò il tutto si potrebbe intendere rendere colpevole quindi punire) oppure semplicemente -T- come in KEL-T, far alzare qualcuno (dal letto), laddove lo stesso verbo privo di -T- significa alzarsi (KEL).
Quest’ultimo è un esempio particolarmente emblematico, perché rappresenta molto bene l’inversione di punto di vista rispetto all’italiano: l’ungherese ritiene grammaticalmente più semplice quel tipo di azione che si effettua all’interno di un unico elemento, evidentemente il soggetto, mentre per l’italiano l’azione di base è quella che avviene tra due elementi, un soggetto che rivolge l’azione ed un oggetto che la riceve. Noi italiani, per intendere un’azione che non si rivolge ad un elemento esterno, ma si compie all’interno del soggetto, dobbiamo aggiungere il pronome riflessivo. Al contrario gli ungheresi aggiungono un morfo solo quando l’azione è rivolta ad un secondo elemento.

ita 1 = ungh. 2
ita 2 = ungh. 1
ALZARE = KEL-T
ALZAR-SI = KEL
SVEGLIARE = ÉBR-ESZT
SVEGLIAR-SI = (fel)ÉBRED
VESTIRE = ÖLTÖZ-TET
VESTIR-SI = ÖLTÖZ(ik)

Tornando in tema, sciogliendo in morfi la nascita ungherese e spostando il punto di vista in modo corretto, otterremo: SZÜL-ET-ÉS e cioè l’aver causato il parto!!! In modo magiaro si può dire che nascendo si causa il travaglio della propria genitrice, colei che, dandoci alla luce, latinamente ci rende nati.
Vale la pena ricordare l’esistenza anche in ungherese dell’idioma világra hoz, che corrisponde tanto all’espressione italiana dare alla luce quanto a mettere al mondo, e questa è stata un’altra scabrosità che mi ha lasciato sorpreso. Ma del rapporto tra il mondo e la luce parleremo ormai in un’altra puntata.

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