sabato 22 febbraio 2014

Sì, vabbè. Puntata terza.

Carlo Martello d'Angió 
Quando un coinquilino ungherese, o una persona di famiglia, un parente stretto, una moglie, via!, a te che devi uscire chiede di passare a comprare il pane e, tanto per essere sicura che non te lo dimentichi, te lo ripete mentre stai varcando l’uscio, ti dice più o meno cosí:
«Ugye te veszed a kenyeret…» (Il pane lo compri tu, no?
Essendo questa, più che una domanda, direi una sorta di velato imperativo, spesso non viene da rispondere con un , ma piuttosto con un va bene, o in casi estremi anche agli ordini...  L’espressione idiomatica ungherese corrispondente a va bene è jó!, letteralmente: buono!
In casi simili spesso si preferisce dire buono! piuttosto che sì!, perche molto banalmente nella lingua dei Magiari è più facile così: nel primo caso si impiega una sola sillaba, nell’altro due, infatti si afferma dicendo igen! Siccome la brevità e la comodità sono da sempre leggi ineludibili nella formazione delle lingue, se possono, gli ungheresi sostituiscono igen con .
Non so di altre lingue, oltre a questa, in cui per affermare si devono impiegare ben due sillabe! Vediamo un pò che succede nel resto d’Europa a me un pochino noto: sì!, yes!, oui!, ja!, tak!, дa!,… Se qualche temerario che abbia avuto il fegato di leggere questo post (perciò le probabilità sono già scarse per ipotesi) fosse magari a conoscenza di una lingua che impieghi più di una sillaba per affermare (e qui le probabilità subiscono un colpo davvero grave), per favore me la riveli! Ne sarei molto riconoscente.
Deve essere stata questa consuetudine del „va bene” ad aver tratto in errore nientemeno che l’indiscusso padre della nostra parlata dolce e piana, nonché primo glottologo delle lingue romanze di cui ho notizia. Chi ha effettuato gli studi in una scuola secondaria in Italia, anzi, in un liceo, avrà di certo avuto un gioioso ed appassionato rapporto con quel trattato latino sulla dignità della giovane lingua italiana chiamato De vulgari eloquentia. Più o meno tutti ricorderanno, non senza commozione, quale criterio sia usato per classificare i vari idiomi europei: quello di prendere in considerazione la parola usata per rispondere in modo affermativo. Pertanto tra le lingue romanze si parla di lingua dell’oc (derivato dal latino hoc, usato nel provenzale), dell’oïl (da ille,  oggi oui) e di lingue del sì (da sic). Ciò che alcuni, con supremo scorno, forse non ricorderanno, è che anche l’ungherese, in Europa dal X secolo, trova un posticino nella classificazione dantesca. Ecco il virgolettato:

 „(…) solum unum (…) ydioma, licet postea per Sclavones, Ungaros, Teutonicos, Saxones, Anglicos et alias nationes (…) quasi predicti omnes «jo» affermando respondent.” (De Vulg. El. I, viii, 4)

L’ungherese è ritenuto una lingua germanica, affine, come dice il passo, all’alto-tedesco, al sassone, all’inglese antico, a tutte le lingue dello jo (tedesco moderno ja). Che scabrosa cantonata. Evidentemente Dante aveva una conoscenza molto parziale della lingua ungherese, e questo nonostante l’Ungheria sia presente in passaggi importanti della Commedia. Possiamo ritenere verosimile che il Poeta abbia avuto modo nella sua vita di incontrare dei magiari, forse dei pellegrini romei venuti per il Giubileo del 1300, o forse degli studenti che già abbastanza copiosamente venivano a frequentare le antiche università italiane come Bologna e Padova. Ed è per me affascinate, sì, lo ammetto, forse anche un po' dissacrante, immaginare come alla sua ingombrante presenza qualcuno di questi studenti ungheresi abbia detto ad un compagno di passare a prendere del pane e questi abbia risposto:
«Jó!»
Tanto deve essere bastato alle orecchie di Dante per trasformare l’idioma ungherese nel cugino fricchettone di Jürgen e fare di quel magiarissimo va bene un teutonico ja!
            E invece significa solo buono, anche se come abbiamo visto si può usare in diversi contesti, come, per fare un altro esempio, quando esprimiamo entusiasmo: de jó! (in italiano: che bello!) Sono molte le parole che si generano da JÓ- e dalla sua radice JAV-, ricordiamo in particolare:

JÓ-L („bene”, forma avverbiale di )
JAV-ÍT („correggere”, „migliorare”,)
JAV-UL („correggersi”, „guarire” in senso intransitivo, confronta épít ed épül nella prima puntata).

Il grado comparativo ha un tale livello di scabrosità da trovare menzione: JÓ-BB, che significa tanto „migliore” quanto „destra”. Chi ha visitato la capitale ungherese avrà visto la Szent Jobb, la Sacra Destra, la reliquia di Re Santo Stefano I fondatore della nazione. O più prosaicamente chi ha preso un tram o la metro avrà sentito la voce in filodiffusione: az ajtók a jobb oldalon nyílnak, cioè: „le porte si aprono dal lato destro”. Insomma, anche qui nel bacino carpatico la parte destra è quella buona. Ogni allusione politica è assolutamente non intenzionale, all right? Anche da noi, sebbene la destra non sia particolarmente buona, la sinistra è di per sè sinistra come un castellaccio diroccatto e infestato da spiriti malvagi, è funesta ed inaspettata come un incidente, un sinistro, appunto. Che manca, ho detto tutto? Ah già, sinistra é bal. Che è l’origine di BAL-ES-ET „incidente”, letteralmente un sinistro accadimento o meglio una sinistra caduta laddove l’elemento -ES- è il verbo cadere. E le cadute si provocano spesso mettendo un piede in fallo, ma in Ungheria ’sto piede, non si sa come è sempre il sinistro: BAL-LÉP-ÉS (passo falso) laddove LÉP-ÉS è sostantivo „passo” (LÉP è verbo).
            Forse è il caso (participio di cado) di finire qui per oggi, casco dal sonno è tardi, eppure vedo che la puntata odierna di Sanremo deve ancora finire. Bisogna essere qualcuno a seguire Sanremo invece di praticare le labirintiche strade di questa misteriosa favella. Certo, se Dante dovesse scrivere ora il suo trattato, dividerebbe il mondo in sole due categorie linguistiche: la prima, dove si parla la lingua dell’igen, in Ungheria; la seconda, dove si parla la lingua dell’OK ovvero il resto del mondo. Sì perché qui OK è meno usato visto che è un’altra parola con un altro significato, quello di „causa”. A questo punto una persona intelligente andrebbe a letto, perché l’accumulo di sonno causa malessere. Chi lo sa può ben dirsi OK-OS, cioè „intelligente” in quanto possiede le cause. Io invece aspetto la fine del festival. E mi sa che siamo in tanti.

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