| Carlo Martello d'Angió |
«Ugye te veszed a kenyeret…» (Il pane lo compri tu, no?)
Essendo questa, più che una domanda, direi una sorta di velato imperativo, spesso non viene da rispondere con un sì, ma piuttosto con un va bene, o in casi estremi anche agli ordini... L’espressione idiomatica ungherese corrispondente a va bene è jó!, letteralmente: buono!
Essendo questa, più che una domanda, direi una sorta di velato imperativo, spesso non viene da rispondere con un sì, ma piuttosto con un va bene, o in casi estremi anche agli ordini... L’espressione idiomatica ungherese corrispondente a va bene è jó!, letteralmente: buono!
In casi simili spesso si
preferisce dire buono! piuttosto che sì!, perche molto banalmente nella
lingua dei Magiari è più facile così: nel primo caso si impiega una sola sillaba,
nell’altro due, infatti si afferma dicendo igen!
Siccome la brevità e la comodità sono da sempre leggi ineludibili nella
formazione delle lingue, se possono, gli ungheresi sostituiscono igen con jó.
Non so di altre lingue, oltre a questa,
in cui per affermare si devono impiegare ben due sillabe! Vediamo un pò che
succede nel resto d’Europa a me un pochino noto: sì!, yes!, oui!, ja!, tak!, дa!,… Se qualche temerario che abbia
avuto il fegato di leggere questo post (perciò le probabilità sono già scarse
per ipotesi) fosse magari a conoscenza di una lingua che impieghi più di una
sillaba per affermare (e qui le probabilità subiscono un colpo davvero grave), per
favore me la riveli! Ne sarei molto riconoscente.
Deve essere stata
questa consuetudine del „va bene” ad
aver tratto in errore nientemeno che l’indiscusso padre della nostra parlata
dolce e piana, nonché primo glottologo delle lingue romanze di cui ho notizia.
Chi ha effettuato gli studi in una scuola secondaria in Italia, anzi, in un
liceo, avrà di certo avuto un gioioso ed appassionato rapporto con quel
trattato latino sulla dignità della giovane lingua italiana chiamato De vulgari eloquentia. Più o meno tutti
ricorderanno, non senza commozione, quale criterio sia usato per classificare i
vari idiomi europei: quello di prendere in considerazione la parola usata per
rispondere in modo affermativo. Pertanto tra le lingue romanze si parla di
lingua dell’oc (derivato dal latino hoc, usato nel provenzale), dell’oïl (da ille, oggi oui) e di lingue del sì (da sic). Ciò che alcuni, con supremo scorno,
forse non ricorderanno, è che anche l’ungherese, in Europa dal X secolo, trova
un posticino nella classificazione dantesca. Ecco il virgolettato:
„(…) solum unum (…) ydioma, licet postea per Sclavones, Ungaros, Teutonicos, Saxones, Anglicos
et alias nationes (…) quasi predicti omnes «jo» affermando
respondent.” (De Vulg. El.
I, viii, 4)
L’ungherese è ritenuto una lingua
germanica, affine, come dice il passo, all’alto-tedesco, al sassone, all’inglese
antico, a tutte le lingue dello jo (tedesco
moderno ja). Che scabrosa cantonata.
Evidentemente Dante aveva una conoscenza molto parziale della lingua ungherese,
e questo nonostante l’Ungheria sia presente in passaggi importanti della Commedia. Possiamo ritenere verosimile
che il Poeta abbia avuto modo nella sua vita di incontrare dei magiari, forse
dei pellegrini romei venuti per il
Giubileo del 1300, o forse degli studenti che già abbastanza copiosamente
venivano a frequentare le antiche università italiane come Bologna e Padova. Ed
è per me affascinate, sì, lo ammetto, forse anche un po' dissacrante, immaginare
come alla sua ingombrante presenza qualcuno di questi studenti ungheresi abbia
detto ad un compagno di passare a prendere del pane e questi abbia risposto:
«Jó!»
Tanto deve essere bastato alle
orecchie di Dante per trasformare l’idioma ungherese nel cugino fricchettone di
Jürgen e fare di quel magiarissimo va
bene un teutonico ja!
E
invece jó significa solo buono, anche se come abbiamo visto si
può usare in diversi contesti, come, per fare un altro esempio, quando
esprimiamo entusiasmo: de jó! (in italiano:
che bello!) Sono molte le parole che
si generano da JÓ- e dalla sua radice JAV-, ricordiamo in particolare:
JÓ-L („bene”, forma avverbiale di
jó)
JAV-ÍT („correggere”, „migliorare”,)
JAV-UL („correggersi”, „guarire”
in senso intransitivo, confronta épít
ed épül nella prima puntata).
Il grado comparativo ha un tale livello di scabrosità da trovare menzione: JÓ-BB, che significa tanto „migliore” quanto
„destra”. Chi ha visitato la capitale ungherese avrà visto la Szent Jobb, la Sacra Destra, la reliquia
di Re Santo Stefano I fondatore della nazione. O più prosaicamente chi ha preso
un tram o la metro avrà sentito la voce in filodiffusione: az ajtók a jobb oldalon nyílnak, cioè: „le porte si aprono dal lato
destro”. Insomma, anche qui nel bacino carpatico la parte destra è quella buona.
Ogni allusione politica è assolutamente non intenzionale, all right? Anche da
noi, sebbene la destra non sia particolarmente buona, la sinistra è di per sè
sinistra come un castellaccio diroccatto e infestato da spiriti malvagi, è funesta
ed inaspettata come un incidente, un sinistro, appunto. Che manca, ho detto
tutto? Ah già, sinistra é bal. Che è
l’origine di BAL-ES-ET „incidente”, letteralmente un sinistro accadimento o meglio una sinistra caduta laddove l’elemento -ES- è il verbo cadere. E le cadute si provocano spesso
mettendo un piede in fallo, ma in Ungheria ’sto piede, non si sa come è sempre
il sinistro: BAL-LÉP-ÉS (passo falso)
laddove LÉP-ÉS è sostantivo „passo” (LÉP è verbo).
Forse
è il caso (participio di cado) di
finire qui per oggi, casco dal sonno è tardi, eppure vedo che la puntata
odierna di Sanremo deve ancora finire. Bisogna essere qualcuno a seguire
Sanremo invece di praticare le labirintiche strade di questa misteriosa
favella. Certo, se Dante dovesse scrivere ora il suo trattato, dividerebbe il
mondo in sole due categorie linguistiche: la prima, dove si parla la lingua
dell’igen, in Ungheria; la seconda, dove
si parla la lingua dell’OK ovvero il
resto del mondo. Sì perché qui OK è meno usato visto
che è un’altra parola con un altro significato, quello di „causa”. A questo
punto una persona intelligente andrebbe a letto, perché l’accumulo di sonno
causa malessere. Chi lo sa può ben dirsi OK-OS, cioè „intelligente” in quanto possiede le cause. Io invece aspetto la
fine del festival. E mi sa che siamo in tanti.
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